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«UniCredit, svolta sui crediti a rischio»

«Per UniCredit è il trimestre della svolta, per la prima volta dal 2007 in Italia e dal 2008 a livello di gruppo i crediti deteriorati sono diminuiti invece che aumentati.

Abbiamo altri segnali di inversione di tendenza dall’economia reale, come la forte crescita dei mutui e la ripresa della domanda di credito a medio-lungo termine da parte delle imprese. È presto per dire che l’Italia ha imboccato un deciso percorso di ripresa, poiché il trend è ancora incerto. Ma per UniCredit, posso dire che – dopo l’utile netto di 712 milioni del primo trimestre – contiamo di cogliere il target 2014 di profitti per 2 miliardi». L’ad di UniCredit Federico Ghizzoni commenta con soddisfazione la «svolta» dei conti, resa possibile anche dal nuovo assetto organizzativo relativo alle attività italiane («la stabilità sta dando risultati») e dalla separazione tra banca «core» e «non core», in cui sono confluiti 83 miliardi di crediti problematici. E mentre le grandi banche si trovano alle prese con l’asset quality review e gli stress test della Bce, UniCredit incrementa su livelli di sicurezza del 9,5% il common equity Tier 1.


Come pensa che andranno a finire gli esami della Bce? L’Italia è penalizzata dai criteri per gli stress test?
L’asset quality review procede bene, anche grazie a Bankitalia che sta facendo un grande lavoro di coordinamento. Noi siamo convinti di superare i test senza problemi. In generale, il rischio che vedo non riguarda tanto il livello di capitale delle singole banche ma l’allineamento delle diverse coperture dei crediti a rischio. Se in autunno la Bce dovesse chiedere di alzare quel parametro, allora qualche problema potrebbe sorgere a livello europeo.


La ripresa economica passa dalla Bce anche per gli attesi interventi che Draghi ha preannunciato per giugno. Pensa che Francoforte interverrà con un quantitative easing modello Fed o con l’acquisto di abs o crediti problematici dalle banche?
Se guardiamo al sitema bancario europeo nel suo complesso, e non solo alle grandi banche, sarebbe preferibile un intervento di acquisto sui prestiti a rischio perché così si liberebbero subito risorse per l’economia reale. La Bce però guarda con timore all’inflazione e al tasso di cambio dell’euro e, per questo, credo che vedremo un intervento di taglio dei tassi.


Il rischio è che la ripresina non si consolidi. La “svolta” per ora si è vista più a livello finanziario che economico. O avete segnali diversi?

La domanda di credito sta riprendendo. Almeno per UniCredit, se guardiamo alla somma di crediti a breve e medio lungo termine alle imprese, nell’ultimo trimestre per la prima volta da anni il nuovo credito erogato ha superato lo scaduto. Ma è davvero presto per poter parlare di un trend definito.


Soddisfatto della non core bank?
Sì, perché al nostro interno ha consentito di chiarire il compito di chi opera con i crediti problematici e di chi lavora con quelli sani.


Nel trimestre ha visto ridursi il perimetro degli asset di due miliardi: la metà è dovuta a partite sanate, l’altra alle cessioni di portafogli di non performing loans. Avete altre operazioni in cantiere?
Ci stiamo lavorando: l’interesse del mercato resta alto, e l’aumento delle coperture effettuato a marzo di fatto ha avuto l’effetto di avvicinare domanda e offerta per quanto riguarda i nostri npl. Oggi chi le vuole comprare deve effettuare offerte più alte, e se arriveranno le valuteremo senz’altro.


Come procedono i lavori sulla newco con Intesa e Kkr?
Come da programma: si stanno ancora valutando le tecnicalità, ma entro l’estate dovremmo essere pronti. D’altronde l’elenco delle imprese coinvolte è stato deciso.


Si tratta dei soliti dossier?
No. Sono coinvolte aziende medio-grandi che con una ristrutturazione del debito possono ripartire in fretta.


E l’Ilva?
È una partita complessa: insieme ad Alitalia rappresenta l’ultima grande operazione di risanamento e rilancio che voglio risolvere a tutti i costi.


A proposito: si rischia il fallimento delle trattative con Etihad?
Le richieste degli arabi sono ormai note, e su di esse sono iniziate le prime discussioni. Alle banche sono state fatte richieste particolari: noi siamo disposti a fare quanto è possibile, che non è tutto quello che ci viene chiesto, per aiutare la soluzione di questa trattativa.


In autunno scade il patto Mediobanca. A che punto siete per la ridefinizione?
L’orientamento del management è di andare verso un patto meno complicato e più snello, e per noi va bene: stiamo aspettando una proposta entro giugno, so che ci stanno lavorando.


I conti Fineco continuano a essere brillanti, e i benefici patrimoniali derivanti dalla quotazione per voi si aggireranno intorno ai 20 punti base: ne vale davvero la pena?
Sì, perché l’Ipo sarà un’occasione per parlare di una realtà che soprattutto all’estero è ancora poco conosciuta. Poi perché contiamo di reinvestire parte dei ricavi in modo da accelerarne la crescita e raccogliere i benefici: ad esempio, puntiamo ad assumere 100 banker l’anno per i prossimi 5 anni, sfruttando anche la possibilità di ricorrere alle stock option.


Pioneer sarà il prossimo dossier?
Non ci sono mandati e la vendita o l’Ipo non sono sul tavolo.


Neanche la cessione di un pacchetto di minoranza?
Dipende da chi ce la propone. In teoria potremmo anche prenderla in considerazione solo se arrivasse da un interlocutore con cui avviare un piano di crescita, ma certo ora non è all’ordine del giorno.


Autore: Marco Ferrando
Fonte:

Il Sole 24 ore

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