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Credito europeo sul modello Usa

Il sistema finanziario europeo storicamente presenta una grossa differenza rispetto a quello statunitense: nel vecchio continente gran parte del credito passa attraverso le banche, mentre negli Usa il ruolo di queste ultime è meno preponderante e si possono ottenere prestiti direttamente, con l’emissione di obbligazioni, o attraverso intermediari “extrabancari”, che non raccolgono depositi e non devono sottostare alla stessa normativa a cui devono sottostare le banche. Secondo un dato che viene citato spesso in Europa le banche rappresentano più dei due terzi del credito complessivo, mentre negli Stati Uniti rappresentano meno di un terzo.

In questi ultimi anni di crisi, è una differenza che ha pesato parecchio. A metà degli anni 2000 la cartolarizzazione dei mutui immobiliari negli Stati Uniti è andata fuori controllo e quella è stata la miccia che ha scatenato le turbolenze dei mercati nell’estate del 2007. Nell’Europa continentale, molti sono arrivati alla conclusione che il loro sistema del credito era meno rischioso (o più virtuoso). Il disastro della cartolarizzazione dei mutui subprime, per quanto grave, era solo una parte di una storia più complessa. Molte banche europee hanno commesso errori nella gestione del rischio, errori altrettanto gravi delle vituperate cartolarizzazioni. Le banche spagnole o irlandesi che prevedevano un boom immobiliare senza fine o bancarotte come quelle della Dexia in Francia e in Belgio sono lì a ricordare amaramente agli europei che non hanno motivi per sentirsi soddisfatti del loro sistema.

C’è un altro punto, meno evidente ma altrettanto importante. Le crisi di sistema del settore bancario sono seguite, quasi inevitabilmente, da una contrazione dell’attività creditizia della maggior parte delle banche. Negli Stati Uniti questo processo non ha prodotto effetti traumatici grazie soprattutto alla flessibilità e versatilità del sistema. In molti Paesi europei, invece, quando le banche hanno cominciato ad applicare criteri più restrittivi nella concessione di prestiti, i prestatari, anche quelli affidabili, si sono trovati con meno alternative a disposizione: il risultato è stato che in gran parte del vecchio continente il credit crunch è stato più grave; e la situazione probabilmente peggiorerà nel prossimo futuro. I Governi possono intervenire, in parte, fornendo incentivi attraverso programmi di garanzie mirati o potenziando il credito con un’attività di prestito diretta. Ma questo genere di interventi presenta anche grosse controindicazioni: le esperienze di attività creditizia diretta dallo Stato in passato non sono state entusiasmanti, perché è un procedimento che si presta a intromissioni di gruppi di interesse con agganci politici e che sfocia in un’allocazione errata di capitali su larga scala. Ecco perché le autorità dovrebbero fissare come obiettivo prioritario misure di incentivo al credito extrabancario erogato attraverso il settore privato. Sfortunatamente, in gran parte dei Paesi europei e nelle istituzioni comunitarie, i politici e gli alti funzionari non sembrano rendersi conto di questa necessità. Anzi, la Commissione europea spesso è sembrata adottare un approccio punitivo nei confronti dei canali creditizi extrabancari. La stessa Commissione vuole anche rafforzare i controlli sul “sistema bancario ombra”, che il Comitato per la stabilità finanziaria ha definito «il sistema di intermediazione creditizia che riguarda entità e attività esterne al sistema bancario tradizionale».

Alcuni aspetti del sistema bancario ombra, tra cui la cartolarizzazione possono contribuire al rischio sistemico, ma questo non giustifica la repressione del sistema bancario ombra in generale. Alcuni segmenti devono essere regolamentati attraverso norme sull’attività imprenditoriale più che imponendo requisiti obbligatori su capitale e liquidità. Altri segmenti necessitano semplicemente di una migliore trasparenza e di maggiori controlli. In alcuni casi la normativa esistente va smantellata: non ha senso, ad esempio, che diversi Paesi europei vietino alle entità diverse dalle banche di offrire servizi di leasing. Operare una transizione da un sistema dominato dalle banche a un sistema più diversificato, in cui il credito extrabancario giochi un ruolo più importante, è difficile. Per emettere obbligazioni o altri titoli a reddito fisso bisogna soddisfare parametri di trasparenza finanziaria molto stringenti, e la cultura imprenditoriale di molte aziende o banche di medie dimensioni in diversi Paesi europei le rende molto reticenti a percorrere questa strada. Anche le differenze giuridiche e normative fra i vari Paesi della Ue non aiutano, perché contribuiscono alla frammentazione di alcuni segmenti del mercato finanziario. Ma questo lascito dev’essere superato se l’obiettivo è ridurre al minimo il rischio di strette creditizie in ampie parti del continente, in particolare nella tormentata Europa meridionale.

Le banche sono molto abili a contrastare la diversificazione dei canali di credito, presentandola come uno scenario iniquo o pericoloso, ma la loro azione di lobbying risponde solo a motivi di interesse. Dopo tutto la crisi finanziaria è stata originata in primo luogo dal settore bancario, e il private equity o gli hedge fund si sono dimostrati meno pericolosi per la tenuta del sistema di quello che si temeva prima del 2007. La maggioranza dei politici e degli alti funzionari europei, che vedono ancora la finanza e la regolamentazione finanziaria attraverso l’ottica delle banche tradizionali, devono allargare i loro orizzonti e smetterla di reprimere più del necessario i canali creditizi extrabancari. Qui non stiamo parlando di dottrina finanziaria: stiamo parlando di crescita e occupazione sul lungo termine.


Autore: Nicolas Véron
Fonte:

Il Sole 24 Ore

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