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Stop al caro-credito

Le nuove regole della Bce sui rifinanziamenti e la garanzia statale sulle obbligazioni di nuova emissione permetteranno agli istituti italiani di raccogliere capitali a basso prezzo Ci vorrà qualche mese, ma la nuova liquidità arriverà ad aziende e famiglie. E costerà meno Le banche europee hanno ottenuto quasi 500 miliardi di nuovi fondi lo scorso 21 dicembre, in occasione della prima asta di rifinanziamento organizzata dalla Banca Centrale Europea, in base alle nuove regole volute dalle autorità Ue per combattere il credit crunch.

Gli istituti italiani hanno ricevuto 116 miliardi, forti anche della garanzia statale che migliora il rating dei bond bancari di nuova emissione. Questi ultimi ora possono essere dati in garanzia alla Bce in cambio di liquidità a basso costo. Ma chi assicura che le banche italiane utilizzeranno i nuovi fondi per finanziare imprese e famiglie? In effetti tra gli addetti ai lavori nessuno crede che da domani le banche cambieranno il registro inondando di soldi l’economia. La prima cosa che faranno è impiegare i prestiti di Francoforte per rimborsare i debiti in scadenza, visto che nella prima parte del 2012 ci sarà una grande quantità di titoli da rimborsare.

Tuttavia «alle banche conviene tornare a dare credito alle aziende, per non fare aumentare le sofferenze», spiega Giuseppe Attanà presidente di Assiom Forex e capo della tesoreria di Intesa Sanpaolo. E che il rischio sia alto lo sottolinea anche il presidente del Tribunale fallimentare di Milano, Filippo Lamanna. Quanto ai mutui, primari istituti negli ultimi mesi avevano tirato il freno, proponendo condizioni talmente onerose da scoraggiare i richiedenti, ma è ovvio che a lungo andare questo atteggiamento allontana i clienti.

Non è un caso quindi che nei giorni scorsi il direttore generale di UnicreditRoberto Nicastro, abbia dichiarato che «ora è importante ripristinare la liquidità per il tessuto produttivo, sostenendo imprese e famiglie». E lo stesso ad dell’istituto di Piazza Cordusio, Federico Ghizzoni, ha assicurato che l’impegno di Unicredit è quello di «usare questa liquidità a sostegno della clientela e dell’economia reale». Tuttavia, «non si può pensare che di colpo tutti questi fondi si riverseranno sul mercato», ha detto ancora Attanà, per spiegare che ci vorrà del tempo perché tutta questa liquidità si traduca in maggiori impieghi.

Lo spread calerà lentamente. Anche vari banchieri interpellati da MF-Milano Finanza hanno confermato che il ritorno del credito alle imprese sarà graduale. Purtroppo lo sarà molto di più il ritorno degli spread a livelli più accettabili per i debitori. È vero infatti che grazie alle nuove regole della Banca Centrale Europea in tema di rifinanziamento delle banche e alla garanzia statale sui bond di nuova emissione delle banche italiane, queste ultime vedranno crollare il costo della raccolta.

Tuttavia oggi il costo della provvista è ancora molto alto. Dovranno passare mesi prima che si vedano consistenti risparmi. Nel frattempo le aziende continueranno a ricevere crediti con difficoltà e soprattutto a pagarlo caro. Per capire quanto, nel caso di prestiti senza garanzie reali, basta pensare a quanto sono aumentati gli spread sull’euribor chiesti dalle banche sulle operazioni di buyout strutturate dai fondi di private equity.

Secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, oggi quando un fondo riesce a trovare una banca disposta a finanziargli un’operazione, il che già non è facile, deve pagare non meno di 400-450 punti base e su scadenza di 5 anni, non più 6 o 7 come prima. Il tutto senza contare il costo di un eventuale swap sui tassi, che si aggira intorno ai 300 punti. Le banche organizzatrici oggi si fanno inoltre pagare una commissione di 400-500pb. E il debito può finanziare al massimo metà del valore dell’affare, che per il resto deve essere coperto dall’acquirente.

Certo, quando cui si parla di mutui, la situazione un poco migliora, ma non più di tanto, se si pensa che anche operazioni in project finance, i cui flussi di cassa per definizione devono essere ragionevolmente sicuri, le banche italiane si sono trovate spesso a mal partito rispetto alle colleghe tedesche, chiedendo spread nell’ordine dei 400pb, tanto da perdere operazioni che poi sono state chiuse a costi più convenienti da banche estere. Ora questo situazione dovrebbe a poco a poco tornare alla normalità, ma ci vorranno mesi e nel frattempo l’azienda che deve finanziare il circolante continuerà a essere in affanno, andando a rimpinguare le statistiche dei crediti deteriorati in capo alle banche italiane.

Il fattore tempo, quindi, è del tutto determinante perché nel frattempo sui tavoli di consulenti, avvocati e fiscalisti fioccano proposte di ristrutturazione del debito di aziende piccole e grandi. E se fino all’anno scorso la maggior parte delle situazioni si risolveva con accordi tra azionisti e creditori sulla base di piani sottoscritti da un consulente indipendente, sulla base dell’art. 67 della legge fallimentare, oggi diverse di quelle stesse situazioni si sono avvitate e che stanno passando alla fase successiva, da gestirsi sulla base dell’art. 182 bis della stessa legge fallimentare, quello che disciplina la ristrutturazione del debito d’intesa con i creditori.

L’ultimo esempio in ordine di tempo è quello di Lucchini. Come anticipato da MF-Milano Finanza il 22 dicembre, il timone del colosso siderurgico è passato ormai dalle mani di Alexei Mordashov (il patron russo di Severstal) alle banche finanziatrici e cioè a Bnp Paribas, Intesa SanpaoloUnicredit, MpsUbi e Mediobanca, che nel complesso sono esposte per 770 milioni di euro e che, a fronte del congelamento di quei crediti per sette anni, si faranno carico del rilancio di Lucchini per metterla nelle condizioni di rientrare del debito accumulato.

Un altro esempio è quello del produttore di yacht Ferretti, che aveva già subito una ristrutturazione ex art. 67 un paio di anni fa e per la quale pure si sta andando verso la procedura ex art. 182 bis, con il gruppo cinese Shandong Heavy Industry Group che solo una decina di giorni fa ha trovato l’accordo con i principali creditori, vale a dire il fondo Oaktree(in possesso del 40% del debito Ferretti), Royal Bank of Scotland (10%) e Strategic Value Partners (18%), per rilevare le rispettive esposizioni e, successivamente all’omologa, convertire in capitale tutto il credito (più di 600 milioni) e in più iniettare ulteriori fondi per altri 200 milioni.

Crediti deteriorati a 91 mld. Ma a parte le situazioni eccellenti ce ne sono tante che coinvolgono aziende meno note, ma ugualmente in difficoltà. Non a caso i bilanci delle banche non fanno che registrare da mesi questa tendenza, con le attività deteriorate che a fine settembre erano arrivate a pesare per il 7% sul totale dei crediti alla clientela per i primi cinque gruppi bancari italiani, dal 6,8% di fine giugno. Una percentuale che a fine 2008 era meno della metà. In valori assoluti, invece, si parla ormai di 91 miliardi di attività deteriorate di cui oltre 38 di sofferenze, quando a fine 2008 i crediti problematici erano soltanto 32,5 miliardi di cui 20 di sofferenze.La situazione peggiore è quella del Banco Popolare, che presenta attività deteriorate per l’11% dei crediti, percentuale che scende all’8% se si esclude dal calcolo il portafoglio crediti di Italease. Al secondo posto della classifica resta Mps (8,5% di attività problematiche), mentre IntesaSanpaolo è la banca più virtuosa con «non più» del 5,83%.


Autore: Stefania Peveraro
Fonte: Milano Finanza

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