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Tensione sul debito di Dublino e Lisbona: gli spread ai massimi

L’Europa dei debiti sovrani è ancora una volta nell’occhio del ciclone. Sei mesi fa era la prospettiva di un fallimento della Grecia a tenere banco, gli altri stati del Vecchio Continente faticavano a mettersi d’accordo sul piano di salvataggio e la prospettiva di un disgregamento dell’Unione monetaria europea metteva l’euro sotto scacco. Oggi quello scenario – che si pensava quasi dimenticato soprattutto grazie alla rete di protezione stesa da Banca centrale europea, Fondo monetario internazionale e Unione europea per certi versi si ripropone. In mezzo alla bufera, più che Atene, stavolta si trovano Dublino e Lisbona. Ieri sera, per esempio, il titolo di Stato decennale irlandese doveva offrire un rendimento dell’8,15% per riuscire ad attirare investitori: il 5,71% (ovvero 571 punti base) in più rispetto al bund tedesco con pari scadenza, il titolo che viene preso come metro di paragone per l’affidabilità. Per le obbligazioni portoghesi il differenziale (spread) ha invece raggiunto i 457 punti base, e anche in questo caso si tratta di un record storico. Così come da primato è il costo che si paga per assicurarsi contro un eventuale fallimento di questi due emittenti espresso dai credit default swap (rispettivamente 598 e 480 punti base sui titoli a 5 anni). Certo, a guardar bene il rendimento dei decennali di Atene è ancora più elevato (11,44%, 900 punti base più del bund), ma quello che proccupa oggi è la dinamica dei tassi di Dublino e Lisbona, saliti di quasi il 2% nel giro di due settimane. Non c’è dubbio che le difficoltà che i due governi hanno nel contenere disavanzi pubblici straripanti in un momento in cui la crescita economica resta un miraggio siano la causa principale delle tensioni. Per l’Irlanda c’è anche chi evoca lo spettro di un’ondata di insolvenze sui mutui che sarebbe il colpo di grazia per un sistema bancario già sull’orlo del collasso. Ma per giustificare le svendite degli ultimi 10 giorni occorre considerare anche la diatriba sorta la scorsa settimana fra governo tedesco e Bce sul meccanismo del fondo salva-stati europeo. Il cancelliere Angela Merkel ha più volte insistito affinché il costo dell’intervento non ricada soltanto sui contribuenti, ma anche sui privati «che lucrano sulla crisi». In altre parole sulle banche europee stesse, che sono però anche le principali finanziatrici del debito pubblico. Lo scontro ha così innescato un meccanismo a catena che ha portato a vendite ancora più insistenti sui bond di Portogallo, Irlanda e Grecia e a una sorta di effetto domino, proprio come sei mesi fa. Il contagio si è prima esteso ai titoli di Stato spagnoli (lo spread col bund è salito a 201 punti base) e ai BTp italiani (160 punti); poi ai titoli azionari delle banche stesse e quindi alle Borse più esposte sul settore finanziario (fra cui Milano e Madrid, che ieri però hanno recuperato terreno); infine all’euro, che dai massimi oltre 1,43 toccati la settimana scorsa dopo l’annuncio della Federal Reserve ieri in serata quotava attorno 1,3750 (da 1,3918 della vigilia). In mattinata, per la verità, la situazione era perfino peggiore, almeno per quanto riguarda gli spread. A contribuire a un allentamento della tensione ci si sono messi in diversi: in primo luogo il commissario Ue agli Affari economici, Olli Rehn, che in visita a Dublino ha ribadito che l’Europa non ha «alcun dubbio» che l’Irlanda supererà la crisi. Poi la Bce, che la scorsa settimana è tornata ad acquistare dopo quasi un mese titoli di Stato sul mercato secondario per 711 milioni (e con tutta probabilità ha continuato in questi giorni nel tentativo di stabilizzare i rendimenti). Infine la stessa Grecia, che è riuscita a piazzare sul mercato titoli di stato a breve termine (26 settimane) a un tasso del 4,82% ricevendo richieste per 5,15 volte l’ammontare. Un sollievo forse temporaneo, che già da oggi verrà messo alla prova perché a presentarsi sul mercato primario (oltre che l’Italia con 5,5 miliardi di BoT) sarà stavolta il Portogallo, con una serie di emissioni in scadenza fra il 2016 e il 2020 per complessivi 1,25 miliardi di euro: l’ultima operazione di rifinanziamento del 2010 del governo di Lisbona sarà seguita con ovvia apprensione. Intanto le banche portoghesi hanno innescato una vivace polemica con l’agenzia Fitch, rea a loro avviso di declassare senza valido motivo i rating dei principali gruppi finanziari (gli ultimi, lunedì, sono stati Banco Espirito Santo, Millenium Bpc, Banco Bpi e Banif), costringendoli a rifinanziarsi non sull’interbancario, ma attraverso le aste periodiche effettuate dalla Bce. Ad ottobre, e anche questo è un dato diffuso ieri, le banche lusitane hanno attinto al «bancomat» di Francoforte per circa 40 miliardi di euro, un ammontare sostanzialmente invariato rispetto al mese precedente. Almeno a guardare questo valore, la situazione non sembrerebbe peggiorata.


Fonte: Il Sole 24 ore

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