Ci racconta come è nata Davis & Morgan e come si è evoluto il vostro modello di business fino ad oggi?
Davis & Morgan nasce nel 2008 come merchant bank. In origine doveva essere una investment bank, ma con il crollo dei mercati in seguito alla crisi finanziaria abbiamo dovuto ripensare completamente il modello. Dopo un periodo di stop, necessario per comprendere come riposizionare la società, ho deciso di ricostruirla attorno al mondo dei crediti deteriorati.
In pratica, invece di chiedere soldi alle banche per portarli alle imprese, ho scelto di chiedere risorse alle imprese per acquistare i crediti problematici dalle banche stesse. È stato un cambio di prospettiva radicale, che ci ha permesso di intercettare un settore allora ancora inesplorato e di farne il nostro punto di forza.
All’epoca il mercato NPL era visto con grande diffidenza: quando si parlava di crediti inesigibili, la reazione più comune era chiedersi perché qualcuno dovesse investire in qualcosa che sembrava privo di valore. Eppure, con le giuste competenze, si trattava di un ambito in grado di generare opportunità interessanti.
Oggi gli NPL vengono riconosciuti come una vera e propria asset class, ma rimangono strumenti complessi e pericolosi se affrontati con superficialità. Ancora oggi molti si avvicinano agli NPL convinti che siano strumenti facili da trattare, quasi delle commodity. La realtà, invece, è molto diversa e richiede un mix di esperienza, prudenza e capacità di analisi che rappresentano da sempre la cifra distintiva del nostro lavoro.
Avete seguito diverse operazioni di ristrutturazione aziendale. Quali strumenti privilegiate tra concordato preventivo, accordi di ristrutturazione e piani attestati, e in quali casi?
Il nostro punto di partenza è sempre il credito. Acquistiamo crediti problematici e da lì costruiamo il percorso di ristrutturazione più adatto al caso specifico. Per questo non esiste uno strumento che privilegiamo in assoluto: abbiamo utilizzato concordati, sia preventivi che fallimentari, composizioni negoziate della crisi, accordi di rinegoziazione e piani attestati. Ogni situazione richiede una soluzione personalizzata.
La nostra filosofia, però, non cambia: il fulcro è sempre l’acquisto di singoli crediti assistiti da garanzie reali. Non acquistiamo pacchetti o portafogli, ma analizziamo caso per caso, valutando l’effettiva possibilità di intervenire in modo efficace. Questa scelta ci permette di ridurre i rischi, mantenere il controllo e calibrare le strategie di ristrutturazione sulle caratteristiche specifiche di ogni posizione.
Sul tema del financing abbiamo visto l’emissione della vostra obbligazione. Pensate in futuro anche ad altre nuove soluzioni per incrementare i volumi delle vostre operazioni?
Per noi l’emissione di obbligazioni è una forma di finanziamento privilegiata. Acquistando crediti dalle banche non possiamo chiedere loro anche i capitali per comprarli: è un conflitto evidente. Non essendo una banca commerciale, non abbiamo accesso al mercato interbancario e non possiamo raccogliere depositi, perché operiamo con licenza 106. Questo è un limite, ma al tempo stesso un vantaggio, perché non siamo soggetti ad alcuni vincoli come il calendar provisioning. Proprio per questo la strada delle obbligazioni rimane per noi la più naturale ed efficace per sostenere la crescita e incrementare i volumi delle operazioni.
Il contenimento degli NPE nei bilanci delle banche riduce i volumi di cessione. Teme che una riduzione dell’offerta di nuovi portafogli, a fronte di una domanda elevata, provochi un incremento dei prezzi di cessione?
No, non è un problema, e in realtà non lo è mai stato. Noi compriamo singoli crediti, non grandi portafogli, e quindi non subiamo le dinamiche legate alle dismissioni massive. Ogni anno investiamo circa 60-70 milioni di euro, una cifra importante ma marginale rispetto ai miliardi di sofferenze che continuano a emergere dal sistema bancario.
Per i grandi operatori, che hanno bisogno di gestire volumi enormi e cartolarizzazioni, la situazione è più complessa. Per noi invece cambia poco: il nostro bacino di riferimento è molto ampio, che include banche e operatori di secondo livello, e questo ci permette di selezionare le operazioni più adatte senza temere una scarsità di offerta o un innalzamento dei prezzi che possa penalizzarci
Le nuove regole, dal calendar provisioning alla Secondary Market Directive, stanno ridefinendo il mercato del credito. Quali impatti avranno sul vostro lavoro e, più in generale, sugli operatori del settore?
Le normative possono avere effetti molto diversi a seconda degli operatori. Il calendar provisioning è una vera difficoltà per le banche commerciali e per quelle realtà che hanno scelto di trasformarsi in banche per lavorare sugli NPL: sono costrette a svalutare più rapidamente i crediti deteriorati, con conseguenze pesanti sui bilanci.
Per noi la situazione è differente: non essendo soggetti a questa regola, non subiamo questi vincoli e anzi possiamo considerarlo un vantaggio competitivo. Lo stesso vale per la Secondary Market Directive, che porterà maggiore trasparenza e regole più chiare. Si tratta di norme che, per chi come noi ha un modello snello e specializzato, aprono nuove opportunità
Guardando avanti, siete posizionati tra NPL, real estate e restructuring. Qual è la vostra visione a medio-lungo termine? Avete anche l’intenzione di valutare una quotazione in Borsa?
Abbiamo provato due volte la strada della quotazione, ma senza successo. Con realismo devo dire che non siamo una società da Borsa. Ci sarebbe piaciuto, ma non credo che ci riproveremo a breve.
Il nostro core business resta concentrato sui crediti ipotecari garantiti da asset reali, prevalentemente immobiliari e soprattutto milanesi.
Di recente abbiamo ottenuto da Banca d’Italia l’autorizzazione a operare sugli UTP e stiamo già acquistando posizioni in modo sistematico, con l’obiettivo di arrivare a circa 25-30 milioni di euro l’anno. Parallelamente stiamo sviluppando Asset Founding, una piattaforma che individua i pignoramenti prima che arrivino all’asta. Oggi conta già 6.000 clienti attivi ed è molto apprezzata dagli operatori. La nostra idea è di darle autonomia, spinoffarla e valutarne la quotazione, così da renderla un driver di crescita indipendente, ma sempre con il supporto di Davis & Morgan.
ARTICOLO PUBBLIREDAZIONALE
Ci racconta come è nata Davis & Morgan e come si è evoluto il vostro modello di business fino ad oggi?
Davis & Morgan nasce nel 2008 come merchant bank. In origine doveva essere una investment bank, ma con il crollo dei mercati in seguito alla crisi finanziaria abbiamo dovuto ripensare completamente il modello. Dopo un periodo di stop, necessario per comprendere come riposizionare la società, ho deciso di ricostruirla attorno al mondo dei crediti deteriorati.
In pratica, invece di chiedere soldi alle banche per portarli alle imprese, ho scelto di chiedere risorse alle imprese per acquistare i crediti problematici dalle banche stesse. È stato un cambio di prospettiva radicale, che ci ha permesso di intercettare un settore allora ancora inesplorato e di farne il nostro punto di forza.
All’epoca il mercato NPL era visto con grande diffidenza: quando si parlava di crediti inesigibili, la reazione più comune era chiedersi perché qualcuno dovesse investire in qualcosa che sembrava privo di valore. Eppure, con le giuste competenze, si trattava di un ambito in grado di generare opportunità interessanti.
Oggi gli NPL vengono riconosciuti come una vera e propria asset class, ma rimangono strumenti complessi e pericolosi se affrontati con superficialità. Ancora oggi molti si avvicinano agli NPL convinti che siano strumenti facili da trattare, quasi delle commodity. La realtà, invece, è molto diversa e richiede un mix di esperienza, prudenza e capacità di analisi che rappresentano da sempre la cifra distintiva del nostro lavoro.
Avete seguito diverse operazioni di ristrutturazione aziendale. Quali strumenti privilegiate tra concordato preventivo, accordi di ristrutturazione e piani attestati, e in quali casi?
Il nostro punto di partenza è sempre il credito. Acquistiamo crediti problematici e da lì costruiamo il percorso di ristrutturazione più adatto al caso specifico. Per questo non esiste uno strumento che privilegiamo in assoluto: abbiamo utilizzato concordati, sia preventivi che fallimentari, composizioni negoziate della crisi, accordi di rinegoziazione e piani attestati. Ogni situazione richiede una soluzione personalizzata.
La nostra filosofia, però, non cambia: il fulcro è sempre l’acquisto di singoli crediti assistiti da garanzie reali. Non acquistiamo pacchetti o portafogli, ma analizziamo caso per caso, valutando l’effettiva possibilità di intervenire in modo efficace. Questa scelta ci permette di ridurre i rischi, mantenere il controllo e calibrare le strategie di ristrutturazione sulle caratteristiche specifiche di ogni posizione.
Sul tema del financing abbiamo visto l’emissione della vostra obbligazione. Pensate in futuro anche ad altre nuove soluzioni per incrementare i volumi delle vostre operazioni?
Per noi l’emissione di obbligazioni è una forma di finanziamento privilegiata. Acquistando crediti dalle banche non possiamo chiedere loro anche i capitali per comprarli: è un conflitto evidente. Non essendo una banca commerciale, non abbiamo accesso al mercato interbancario e non possiamo raccogliere depositi, perché operiamo con licenza 106. Questo è un limite, ma al tempo stesso un vantaggio, perché non siamo soggetti ad alcuni vincoli come il calendar provisioning. Proprio per questo la strada delle obbligazioni rimane per noi la più naturale ed efficace per sostenere la crescita e incrementare i volumi delle operazioni.
Il contenimento degli NPE nei bilanci delle banche riduce i volumi di cessione. Teme che una riduzione dell’offerta di nuovi portafogli, a fronte di una domanda elevata, provochi un incremento dei prezzi di cessione?
No, non è un problema, e in realtà non lo è mai stato. Noi compriamo singoli crediti, non grandi portafogli, e quindi non subiamo le dinamiche legate alle dismissioni massive. Ogni anno investiamo circa 60-70 milioni di euro, una cifra importante ma marginale rispetto ai miliardi di sofferenze che continuano a emergere dal sistema bancario.
Per i grandi operatori, che hanno bisogno di gestire volumi enormi e cartolarizzazioni, la situazione è più complessa. Per noi invece cambia poco: il nostro bacino di riferimento è molto ampio, che include banche e operatori di secondo livello, e questo ci permette di selezionare le operazioni più adatte senza temere una scarsità di offerta o un innalzamento dei prezzi che possa penalizzarci
Le nuove regole, dal calendar provisioning alla Secondary Market Directive, stanno ridefinendo il mercato del credito. Quali impatti avranno sul vostro lavoro e, più in generale, sugli operatori del settore?
Le normative possono avere effetti molto diversi a seconda degli operatori. Il calendar provisioning è una vera difficoltà per le banche commerciali e per quelle realtà che hanno scelto di trasformarsi in banche per lavorare sugli NPL: sono costrette a svalutare più rapidamente i crediti deteriorati, con conseguenze pesanti sui bilanci.
Per noi la situazione è differente: non essendo soggetti a questa regola, non subiamo questi vincoli e anzi possiamo considerarlo un vantaggio competitivo. Lo stesso vale per la Secondary Market Directive, che porterà maggiore trasparenza e regole più chiare. Si tratta di norme che, per chi come noi ha un modello snello e specializzato, aprono nuove opportunità
Guardando avanti, siete posizionati tra NPL, real estate e restructuring. Qual è la vostra visione a medio-lungo termine? Avete anche l’intenzione di valutare una quotazione in Borsa?
Abbiamo provato due volte la strada della quotazione, ma senza successo. Con realismo devo dire che non siamo una società da Borsa. Ci sarebbe piaciuto, ma non credo che ci riproveremo a breve.
Il nostro core business resta concentrato sui crediti ipotecari garantiti da asset reali, prevalentemente immobiliari e soprattutto milanesi.
Di recente abbiamo ottenuto da Banca d’Italia l’autorizzazione a operare sugli UTP e stiamo già acquistando posizioni in modo sistematico, con l’obiettivo di arrivare a circa 25-30 milioni di euro l’anno. Parallelamente stiamo sviluppando Asset Founding, una piattaforma che individua i pignoramenti prima che arrivino all’asta. Oggi conta già 6.000 clienti attivi ed è molto apprezzata dagli operatori. La nostra idea è di darle autonomia, spinoffarla e valutarne la quotazione, così da renderla un driver di crescita indipendente, ma sempre con il supporto di Davis & Morgan.
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