Credito e consumatori Dalla Redazione Fintech Investor, servicer e debt buyer NPL e crediti deteriorati

La linfa dell’impresa sono i legami: la lezione di una vita

Intervista a Luigi Bianchi, Fondatore e Presidente Operativo di Sydema

 

Quest’anno compie novant’anni e lavora ancora con passione e lucidità: cosa la muove ogni mattina a rimanere così attivo?
L.B. Quello che mi muove ogni giorno è il rapporto con le persone. Io ho sempre creduto nel valore umano prima ancora che in quello tecnico. E smettere di lavorare, per me, significherebbe interrompere quel dialogo quotidiano che è la vera linfa di tutto ciò che ho costruito. Non è solo una questione di lavoro: è una questione di relazione. Ho rallentato, è vero, ma ogni settimana mi incontro con i miei collaboratori. Parliamo non solo di progetti o strategie aziendali, ma anche dei loro problemi personali, delle loro famiglie. Sydema è una squadra unita, ed è proprio questo spirito che mi tiene dentro.
Negli anni, ho visto questi ragazzi crescere con me. Alcuni li ho assunti da giovanissimi e oggi guidano progetti complessi con una professionalità che mi rende orgoglioso. Abbiamo appena concluso una gara molto competitiva e l’abbiamo vinta. E la loro gioia, la loro soddisfazione, per me vale più di qualsiasi premio economico.
Perché non sono solo manager: sono persone coinvolte nel business, motivate. Pensare di andare in pensione e lasciare tutto questo mi rattrista profondamente.

Da dirigente si è trasformato in imprenditore, com’è nata questa scelta? C’è stato un momento particolare in cui ha deciso di cambiare strada?
L.B. È stata una scelta che non avevo programmato. Io venivo dal mondo della consulenza: mi occupavo di risorse umane, sviluppo organizzativo e ricerche. Con alcuni colleghi avevamo fondato IAMA, una società che offriva consulenza strategica a banche e assicurazioni. All’interno di IAMA c’era una piccola partecipata, Sydema, nata per seguire i progetti informatici legati a quelli organizzativi. Ma a un certo punto, come spesso succede tra soci, ci siamo divisi, ed è rimasta questa costola, Sydema, in forte difficoltà.
Il socio che la gestiva non era più allineato con la nostra visione e l’azienda cominciava ad andare in perdita. Mi ricordo benissimo quando il mio collega Claudio David mi chiamò e mi disse: “Che facciamo? La regaliamo?”.
È stato in quel momento che ho deciso di provarci. Non sapevo nulla di software o di tecnologia, non era il mio campo, ma ho sentito che lì dentro c’era qualcosa che valeva la pena salvare.

Sono andato in azienda e ho riunito le poche persone rimaste. Erano sei o sette in tutto. Ho detto: “Questa è la situazione. Siete disposti a crederci con me?”. E loro hanno risposto con un sì convinto. Abbiamo iniziato insieme, da zero, nel vero senso della parola. Non è stato facile, ma passo dopo passo siamo riusciti a rimettere in piedi l’azienda, a tornare in utile, a crescere. Qualcuno del gruppo iniziale ha preso altre strade, ma alcuni di loro sono ancora con me. E oggi Sydema è quello che è anche grazie a quel primo sì coraggioso, detto in un momento in cui tutto sembrava perduto.

Sydema ha mosso i primi passi in un seminterrato e ha affrontato nel corso del tempo numerose sfide. Cosa ha visto in quell’impresa che l’ha convinta a crederci fino in fondo?

L.B. Ho visto le persone. Può sembrare banale, ma non lo è. In quel seminterrato c’erano pochi ragazzi, determinati, appassionati, con competenze tecniche importanti e voglia di farcela. In un momento in cui l’azienda era sull’orlo della chiusura, loro non si sono tirati indietro. Quando ho proposto di tentare di salvarla, non hanno esitato. E io, davanti a quella risposta, non potevo che restare.
Non ho mai visto Sydema come un ramo da potare, ma come un seme da far crescere. In loro ho visto potenzialità, serietà, spirito di gruppo. Per questo non ho mai pensato ai limiti dell’azienda, ma alle sue possibilità. E col tempo quei ragazzi sono cresciuti, hanno assunto responsabilità, alcuni sono diventati soci, altri oggi guidano intere divisioni. Per me, Sydema non è stata una scommessa: è stata una scelta di fiducia.
E questo modo di vedere le cose, guardare alle persone prima ancora che ai numeri, è rimasto nel tempo. Ancora oggi, quando scegliamo un’azienda da acquisire, non guardiamo solo al fatturato, ma a chi ci lavora dentro.
Perché un’azienda può avere problemi economici, ma se ha persone valide può rinascere. È esattamente quello che è successo con Sydema.

Da dove nasce questa Sua capacità di visione?
L.B. La visione nasce dalla capacità dell’ascolto costante del mercato e dalle necessità di connettere i bisogni con le soluzioni possibili.
Stavamo lavorando con la Cassa di Risparmio di Bologna per meccanizzare i crediti deteriorati, quando arrivò una nuova normativa della Banca d’Italia che imponeva agli istituti di credito proprio quel tipo di gestione: noi eravamo già pronti.
Per molti anni la contabilità delle sofferenze, grazie anche alle continue evoluzioni normative, ha rappresentato l’80% del nostro fatturato.
Oggi il mercato è cambiato profondamente. Le esigenze si sono spostate verso la semplificazione dei processi, la gestione avanzata dei dati e l’integrazione di nuove tecnologie. Per questo il mercato si sta spingendo verso soluzioni di workflow management sempre più performanti.
Saper gestire i continui cambi normativi e saper ascoltare il mercato, sono la chiave del successo di un’azienda; perché non basta avere una visione una volta sola, ma bisogna rinnovarla ogni giorno, e restare sempre in ascolto.

Ha sempre detto che le persone contano più del fatturato. In un mondo in cui si guarda al profitto, perché ha scelto di puntare così tanto sui rapporti umani?
L.B. Perché senza le persone non c’è impresa che tenga. I numeri sono importanti, certo, ma sono una conseguenza.
Quando abbiamo acquisito RDB e Micra, abbiamo fatto un passo molto importante per consolidare sul mercato di riferimento, non solo Sydema ma anche le altre aziende.
Lì ho visto il valore dei team che c’erano dentro. Ho imparato nel corso della mia carriera che il segreto per far crescere un’impresa è coinvolgere e responsabilizzare i collaboratori, soprattutto quelli ai vertici, che partecipano alle decisioni strategiche attraverso comitati operativi che si riuniscono periodicamente. Ogni scelta viene condivisa ed è la maggioranza che vince.

Lei opera nel settore da moltissimi anni. Guardando indietro, quali sono i cambiamenti più significativi che ha osservato, sia dal punto di vista operativo che umano?
L.B. Il nostro è un settore dove chi si ferma è letteralmente perduto. L’innovazione, indispensabile per restare al passo con il mercato, richiede sforzi e investimenti continui che nel tempo hanno profondamente trasformato sia i processi operativi sia il ruolo delle risorse umane. Nel corso degli anni ho assistito all’evoluzione del Recupero Credito, passando da pratiche cartacee e manuali a soluzioni digitali sempre più sofisticate, che hanno potenziato la capacità di gestione, memoria e tracciabilità delle informazioni. Oggi, uno degli elementi
che sta modificando significativamente il lavoro delle persone è l’intelligenza artificiale, destinata ad avere un impatto forte nel settore del credito. Se da un lato ciò significa ridurre i costi e aumentare i margini, dall’altro apre un serio interrogativo di natura etica e professionale, perché la tecnologia corre più velocemente della capacità delle persone di adattarsi a essa.

Sta costruendo con i suoi figli una successione che tenga saldo il legame tra visione imprenditoriale e valori. Qual è la sua eredità più importante?
L.B. Credo che la mia eredità non sia solo un’azienda, ma un modo di lavorare e di stare insieme.
Un’organizzazione solida si fonda a mio avviso, su responsabilità, trasparenza e capacità di relazione, sostenute da valori come passione, coraggio, innovazione, qualità e fiducia.
Ho sempre cercato di trasmettere questo approccio ai miei figli. Bruno e Matteo hanno ruoli diversi, uno tecnico, l’altro consulenziale, ma condividono la stessa visione: un’impresa dove il capitale umano viene prima di tutto. È questo il passaggio generazionale che mi interessa: non nelle cariche, ma nello spirito con cui si guida un’azienda. Ma questa eredità non è solo familiare. È collettiva. C’è un gruppo dirigente forte, cresciuto negli anni con me, che oggi guida un insieme di quattro aziende, con 250 Collaboratori su tre sedi a Brescia, Perugia e Milano, e che continua a portare avanti quella visione originaria fatta di innovazione, ascolto e coraggio.
Oggi il mercato richiede un costante investimento in ricerca e sviluppo, sfruttando al meglio l’intelligenza artificiale, continuando a mettere in discussione in maniera rapida e repentina l’organizzazione, chiedendo contini cambiamenti. Questo per me è fondamentale: non basta avere avuto una buona idea, bisogna continuare a rinnovarla.
E io non mi fermo. Partecipo ancora ai comitati, ascolto, discuto. Perché per me lavorare non è mai stato solo un dovere: è sempre stato un modo di costruire legami. E questa, forse, è la cosa più importante che lascio, e che continuo a portare avanti con entusiasmo alla mia giovane età di 90 anni.

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