Intervista a Milène Sicca, Presidente Comitato Studi Legislativi FEDERPOL
Quali sono oggi i principali rischi a cui è esposta un’azienda e come si possono distinguere quelli interni da quelli esterni?
Oggigiorno per garantire solidità e continuità alla propria azienda, l’imprenditore deve estendere le sue valutazioni a tutte le tipologie di rischi, sia endogeni che esogeni, che potrebbero comprometterne i flussi produttivi e la tenuta sul mercato.
Per rischio endogeno si intendono tutte quelle variabili che dipendono dalla capacità organizzativa, amministrativa, contabile, di innovazione tecnologica ecc. riconducibili direttamente alla gestione interna dell’impresa.
Quelle di natura esogena, invece, sono esterne all’impresa e fanno riferimento a molteplici fattori, tra cui le tensioni geopolitiche, le catastrofi naturali, i rischi di cambio, le variazioni dei prezzi delle materie prime, i dazi doganali, i costi di logistica, le filiere ecc.
Solo una visione integrata di entrambi i livelli consente di garantire la continuità aziendale.
In che modo gli adeguati assetti organizzativi possono aiutare a prevenire questi rischi e garantire la continuità d’impresa?
Lo scopo dell’adozione di adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili (art. 2086 c.c.) è quello di consentire all’imprenditore di rilevare tempestivamente i segnali di squilibrio dell’impresa e di attivarsi senza ritardo per porre in essere quelle azioni rimediali indispensabili per il prosieguo dell’attività. La governance deve avere un’ottica di forward looking, cioè uno sguardo orientato al futuro e alla tenuta nel tempo. Gli adeguati assetti rappresentano dunque l’espressione pratica dell’idea di un’impresa solida e sostenibile tale da conservare un posizionamento competitivo sul proprio mercato e garantire occupazione e ricchezza nel proprio territorio.
Quali sono gli errori più frequenti che un imprenditore commette nella gestione della propria azienda e che possono condurre a una crisi?
Tra gli errori più comuni ci sono quelli legati a una gestione finanziaria poco prudente, l’insufficiente controllo di gestione e degli indici di bilancio, la cattiva politica sui prezzi, il ricorso eccessivo all’indebitamento. Spesso l’imprenditore, pur di sostenere l’attività oltre ogni livello di buon senso, continua a chiedere credito, entrando in una spirale che nel tempo diventa insostenibile e irreversibile. Per questo è fondamentale predisporre una sorta di checklist delle vulnerabilità, monitorando costantemente gli early warnings, cioè i segnali di allerta che indicano una situazione di squilibrio, come un indebitamento eccessivo verso erario, dipendenti, banche o fornitori, e che dovrebbero spingere l’imprenditore a intervenire tempestivamente.
Esiste, secondo lei, un punto di non ritorno in cui un imprenditore dovrebbe fermarsi e rivedere la strategia aziendale?
Viviamo in un mondo estremamente accelerato in cui ogni impresa, che sia una start-up o una realtà consolidata, deve impostare sin dall’inizio una struttura corretta e saper adattare, con spirito darwiniano, la propria strategia al cambiamento. Se il mercato evolve e chiede prodotti diversi, più tecnologici o a prezzi più competitivi a causa di competitors più convenienti, l’imprenditore deve avere la lucidità di rivedere la propria offerta anziché perseverare nella produzione di beni o servizi divenuti obsoleti e di evolvere o fermarsi prima che sia troppo tardi.
Il punto di non ritorno arriva quando si perde la capacità critica di riconoscere che un ciclo è finito.
Che cosa prevede il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza e in che modo può aiutare concretamente le aziende in difficoltà?
Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza segna un’evoluzione strutturale in tema di salvaguardia della continuità dei complessi aziendali e rappresenta un cambio di prospettiva importante rispetto al vecchio sistema fallimentare.
In pratica, il Codice introduce criteri d’allerta, gli early warning, che aiutano l’imprenditore a individuare tempestivamente i segnali di crisi e ad attivare un’attività rimediale con l’adozione di adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili. Questo significa che l’imprenditore ha l’obbligo — ma anche l’opportunità — di monitorare costantemente la salute della propria azienda, così da potersi muovere in tempo, prima che la situazione diventi irreversibile.
Un altro aspetto fondamentale è l’introduzione di strumenti di composizione assistita della crisi, che permettono di trovare soluzioni negoziali, stragiudiziali e giudiziali, per ristrutturare i debiti o riorganizzare l’attività senza franare verso l’insolvenza e quindi la liquidazione del patrimonio
Questo approccio può aiutare concretamente le aziende in difficoltà perché consente di intervenire per tempo, di salvaguardare i posti di lavoro, di mantenere il valore produttivo e di tutelare i creditori. Inoltre, sostituendo il termine “fallimento” con “liquidazione giudiziale”, il Codice riduce anche lo stigma sociale legato alle situazioni di crisi.
In definitiva, si tratta di una riforma che mira a diffondere una cultura della prevenzione e della responsabilità nella gestione d’impresa: un passo avanti importante verso un sistema economico più moderno, trasparente e orientato alla continuità.
Sei interessato ad approfondire il tema?!
Al 18° CvDay che si terrà il prossimo 14 novembre in Borsa Italiana a Milano, durante i lavori del pomeriggio ci sarà una Round Table dedicata proprio a questo tematiche.
Guarda l’agenda completa dell’evento e Registrati qui per partecipare
Intervista a Milène Sicca, Presidente Comitato Studi Legislativi FEDERPOL
Quali sono oggi i principali rischi a cui è esposta un’azienda e come si possono distinguere quelli interni da quelli esterni?
Oggigiorno per garantire solidità e continuità alla propria azienda, l’imprenditore deve estendere le sue valutazioni a tutte le tipologie di rischi, sia endogeni che esogeni, che potrebbero comprometterne i flussi produttivi e la tenuta sul mercato.
Per rischio endogeno si intendono tutte quelle variabili che dipendono dalla capacità organizzativa, amministrativa, contabile, di innovazione tecnologica ecc. riconducibili direttamente alla gestione interna dell’impresa.
Quelle di natura esogena, invece, sono esterne all’impresa e fanno riferimento a molteplici fattori, tra cui le tensioni geopolitiche, le catastrofi naturali, i rischi di cambio, le variazioni dei prezzi delle materie prime, i dazi doganali, i costi di logistica, le filiere ecc.
Solo una visione integrata di entrambi i livelli consente di garantire la continuità aziendale.
In che modo gli adeguati assetti organizzativi possono aiutare a prevenire questi rischi e garantire la continuità d’impresa?
Lo scopo dell’adozione di adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili (art. 2086 c.c.) è quello di consentire all’imprenditore di rilevare tempestivamente i segnali di squilibrio dell’impresa e di attivarsi senza ritardo per porre in essere quelle azioni rimediali indispensabili per il prosieguo dell’attività. La governance deve avere un’ottica di forward looking, cioè uno sguardo orientato al futuro e alla tenuta nel tempo. Gli adeguati assetti rappresentano dunque l’espressione pratica dell’idea di un’impresa solida e sostenibile tale da conservare un posizionamento competitivo sul proprio mercato e garantire occupazione e ricchezza nel proprio territorio.
Quali sono gli errori più frequenti che un imprenditore commette nella gestione della propria azienda e che possono condurre a una crisi?
Tra gli errori più comuni ci sono quelli legati a una gestione finanziaria poco prudente, l’insufficiente controllo di gestione e degli indici di bilancio, la cattiva politica sui prezzi, il ricorso eccessivo all’indebitamento. Spesso l’imprenditore, pur di sostenere l’attività oltre ogni livello di buon senso, continua a chiedere credito, entrando in una spirale che nel tempo diventa insostenibile e irreversibile. Per questo è fondamentale predisporre una sorta di checklist delle vulnerabilità, monitorando costantemente gli early warnings, cioè i segnali di allerta che indicano una situazione di squilibrio, come un indebitamento eccessivo verso erario, dipendenti, banche o fornitori, e che dovrebbero spingere l’imprenditore a intervenire tempestivamente.
Esiste, secondo lei, un punto di non ritorno in cui un imprenditore dovrebbe fermarsi e rivedere la strategia aziendale?
Viviamo in un mondo estremamente accelerato in cui ogni impresa, che sia una start-up o una realtà consolidata, deve impostare sin dall’inizio una struttura corretta e saper adattare, con spirito darwiniano, la propria strategia al cambiamento. Se il mercato evolve e chiede prodotti diversi, più tecnologici o a prezzi più competitivi a causa di competitors più convenienti, l’imprenditore deve avere la lucidità di rivedere la propria offerta anziché perseverare nella produzione di beni o servizi divenuti obsoleti e di evolvere o fermarsi prima che sia troppo tardi.
Il punto di non ritorno arriva quando si perde la capacità critica di riconoscere che un ciclo è finito.
Che cosa prevede il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza e in che modo può aiutare concretamente le aziende in difficoltà?
Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza segna un’evoluzione strutturale in tema di salvaguardia della continuità dei complessi aziendali e rappresenta un cambio di prospettiva importante rispetto al vecchio sistema fallimentare.
In pratica, il Codice introduce criteri d’allerta, gli early warning, che aiutano l’imprenditore a individuare tempestivamente i segnali di crisi e ad attivare un’attività rimediale con l’adozione di adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili. Questo significa che l’imprenditore ha l’obbligo — ma anche l’opportunità — di monitorare costantemente la salute della propria azienda, così da potersi muovere in tempo, prima che la situazione diventi irreversibile.
Un altro aspetto fondamentale è l’introduzione di strumenti di composizione assistita della crisi, che permettono di trovare soluzioni negoziali, stragiudiziali e giudiziali, per ristrutturare i debiti o riorganizzare l’attività senza franare verso l’insolvenza e quindi la liquidazione del patrimonio
Questo approccio può aiutare concretamente le aziende in difficoltà perché consente di intervenire per tempo, di salvaguardare i posti di lavoro, di mantenere il valore produttivo e di tutelare i creditori. Inoltre, sostituendo il termine “fallimento” con “liquidazione giudiziale”, il Codice riduce anche lo stigma sociale legato alle situazioni di crisi.
In definitiva, si tratta di una riforma che mira a diffondere una cultura della prevenzione e della responsabilità nella gestione d’impresa: un passo avanti importante verso un sistema economico più moderno, trasparente e orientato alla continuità.
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