Banche, Originator e Imprese Dalla Redazione In Evidenza

Paola Stanzani racconta l’omicidio di impresa del Gruppo Delta

Dott.ssa Stanzani può iniziare a parlarci del Gruppo Delta? 

Il Gruppo Delta era, a tutti gli effetti, una realtà pionieristica nel mondo del credito al consumo in Italia. Un gruppo costruito intorno a diverse società specializzate: finanziamenti per le famiglie, cessione del quinto, carte di credito, strumenti che oggi consideriamo comuni ma che, vent’anni fa, erano soluzioni innovative.

Siamo arrivati a dare lavoro a circa duemila persone: un indotto enorme per quei territori. Per me, che ne ero amministratore delegato, è stato un progetto che puntava a unire crescita, innovazione e cura delle persone. Ed è proprio questo che lo rendeva speciale.

Sappiamo che l’azienda era dotata di un welfare particolarmente avanzato all’epoca, che clima si respirava nel Gruppo Delta?

Delta aveva un welfare che ancora oggi sarebbe all’avanguardia: convenzioni con scuole, orari flessibili. Avevamo capito che per rispondere davvero alle famiglie serviva essere operativi anche nei weekend, quando le persone erano libere dai loro impegni. In cambio, l’azienda garantiva tranquillità e sostegno concreto durante la settimana: flessibilità per sbrigare pratiche personali e conciliare lavoro e vita privata senza ansia.

Quello che è successo al Gruppo Delta è stato un danno umano enorme, che non ha colpito solo me o il gruppo dirigente: ha rovinato la vita a centinaia di famiglie che avevano creduto in un progetto pulito, innovativo e fatto con passione.

Le dispiace ripercorrere la vicenda raccontandoci – a grosse linee – come tutto ha avuto inizio?

Sono venuti a prendermi a casa alle nove di sera, consegnandomi solo in quel momento un fascicolo di cinquecento pagine con i capi di accusa, senza darmi neanche il tempo di leggerli. Non sapevo nemmeno dove mi stessero portando, perché non avevo mai parlato con il Pubblico Ministero. Solo una volta in carcere ho potuto leggere e capire: i reati di cui potevo rispondere come amministratore delegato, come l’ostacolo alla vigilanza o l’esercizio abusivo del credito, non prevedevano misure cautelari.

Eppure mi è stato imputato anche il riciclaggio, un’accusa del tutto infondata, perché non avevo le deleghe né i poteri per compiere operazioni di quel tipo, neanche volendo. Da lì ho capito che l’obiettivo era tenermi fuori dai giochi: senza l’amministratore delegato, il gruppo poteva essere commissariato e poi smantellato pezzo per pezzo, come infatti è successo.

Ho vissuto quei giorni come in un incubo ma non ho mai avuto paura: ho sempre detto a me stessa male non fare, paura non avere. E questa è stata la mia forza, anche quando non sapevo come sarebbe finita.

Nel libro di Claudio Patalano “Omicidio di impresa” si parla del caso del Gruppo bancario. Quali sono i veri assassini e gli attori che sono stati coinvolti nell’omicidio?

Omicidio d’impresa descrive perfettamente quello che è accaduto al Gruppo Delta: una realtà sana, che è stata uccisa da più di un assassino. Io credo nelle istituzioni, non accuso la magistratura o Banca d’Italia in quanto tali, perché è giusto che facciano il loro lavoro. La differenza, però, la fanno le persone che vi lavorano.

In prima istanza, il Pubblico Ministero, che ha costruito accuse a tavolino: cinquecento pagine di capi di imputazione che non erano nemmeno scritte in modo chiaro e legale, tanto che nel tempo è stato chiesto più volte di riscriverle per renderle comprensibili. Ma anche alcuni funzionari di Banca d’Italia hanno supportato quella tesi invece di fermarla.

Non sono stati gli unici. Se è vero che si è innocenti fino al terzo grado di giudizio, per la stampa dal giorno dopo eravamo già colpevoli. E poi ci sono stati i sindacati e la politica, che non hanno fatto nulla per salvaguardare il posto di lavoro di duemila famiglie. Forse perché chi lavora nel credito viene ancora visto come una casta di privilegiati: se fossimo stati metalmeccanici, forse avremmo fatto più clamore.

È stata un’ingiustizia enorme, e credo sia doveroso che chi ha commesso questi errori paghi, come paga un imprenditore o un dipendente quando sbaglia nel proprio lavoro. Tutti possiamo sbagliare, ma bisogna assumersi le proprie responsabilità.

Lotterò perché il nostro caso venga studiato nelle università, affinché errori del genere non si ripetano mai più. E sono decisa ad andare fino in fondo: non mi fermerò, farò tutto ciò che è nel mio diritto per far emergere la verità.

Per concludere Dr.ssa Stanzani, una domanda personale. Come si è sentita dopo l’ultima sentenza? Quali sono state le sue sensazioni ed emozioni? Cosa le ha lasciato quest’esperienza?

Dopo la sentenza ho provato un’amarezza profonda e una rabbia che non si è mai spenta.

Quello che non si cancella è tutto ciò che è venuto dopo: i ventuno giorni in carcere, i sei mesi di domiciliari, il silenzio forzato nei primi tre giorni in cui non ho potuto nemmeno parlare con i miei avvocati per capire come difendermi. È un vuoto che resta dentro: l’impotenza di non sapere, di non poter spiegare.

Il carcere, paradossalmente, mi ha fatto scoprire un’umanità che non mi aspettavo. Ho trovato donne che mi hanno teso una mano, che mi hanno aiutata a mantenere lucidità e dignità in un contesto che toglie tutto. Ricordo ancora di aver fatto da traduttrice per chi non parlava italiano: piccoli gesti che, in un luogo simile, significano moltissimo.

Poi ci sono stati i domiciliari, un’altra forma di prigionia che mi ha tolto libertà e serenità. E l’umiliazione di dover dare le impronte digitali, farsi fare le foto segnaletiche come una delinquente: momenti che ti spogliano di tutta la dignità che hai costruito in una vita intera.

Oggi so che nulla potrà restituirmi quegli anni rubati, la reputazione infangata, le ferite inflitte a chi mi stava vicino.

Quello che mi resta dentro è la certezza di non aver mai tradito i miei principi e la consapevolezza che la dignità, anche quando cercano di portartela via, è l’unica cosa che nessuno può davvero distruggere…

L’INTERVISTA INTEGRALE A PAOLA STANZANI SARA’ PUBBLICATA SUL PROSSIMO NUMERO DEL NOSTRO MAGAZINE

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