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Npl, Padoan: perplessità su linea Bce

Sull’ipotesi di svalutazione integrale automatica degli Npl messa in consultazione dalla vigilanza della Banca centrale europea fa sentire la propria voce anche il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. «Ho delle perplessità sui modi e sui contenuti della comunicazione», ha spiegato ieri il ministro parlando con i giornalisti prima della riunione dell’Eurogruppo in Lussemburgo, e ha aggiunto che del tema si tornerà a discutere «nelle prossime settimane».

Come all’inizio della ricapitalizzazione precauzionale di Mps, quando a fine dicembre Francoforte indicò “a sopresa” secondo via XX Settembre il fabbisogno di capitale di Siena in 8,8 miliardi, le obiezioni di Padoan tornano a concentrarsi sia sul metodo sia sul merito. Sul primo terreno, il problema nasce anche dal fatto che a luglio l’Ecofin aveva esaminato a fondo la questione Npl; esame sfociato nell’incarico affidato alla commissione di studiare le modifiche possibili alle due direttive Ue sui requisiti di capitalizzazione delle banche, a partire da quella sull’attività e la vigilanza prudenziale degli enti creditizi (la direttiva «Crd» del 2013). In questo contesto, l’addendum alle linee guida sugli Npl, che propone l’obbligo di copertura integrale dopo due anni dei crediti deteriorati senza garanzie e in sette anni di quelli secured, finirebbe per rappresentare una sorta di tackle tecnico sull’azione della politica. E offrirebbe un altro esempio di quello scoordinamento che caratterizza le istituzioni Ue quando si tratta di gestire rischi e crisi bancarie.

Ma a preoccupare in Italia è soprattutto il merito, alla luce anche del fatto che la stessa Vigilanza unica della Bce ha annunciato un intervento ulteriore a gennaio; prospettiva che ha subito diffuso sui mercati il timore che dopo essersi occupate degli Npl futuri le istruzioni dell’Ssm guardino con lo stesso approccio anche agli stock di crediti deteriorati, moltiplicando gli effetti collaterali delle svalutazioni “automatiche”. Effetti facili da immaginare, perché la data di scadenza abbatte il peso negoziale di chi vende e dà a chi compra tutto il potere nella determinazione dei prezzi di cessione.

Il tema promette quindi di tenere banco nel dibattito europeo sul sistema bancario, in un quadro che non facilita troppo la costruzione di alleanze fra gruppi di paesi con interessi divergenti.

La doppia recessione, le politiche di alcuni istituti e i tempi lunghi nel recupero dei crediti hanno fatto degli Npl italiani un problema europeo, e lo stesso Padoan lo ha ricordato pochi giorni fa in Parlamento quando ha spiegato che il debito pubblico e i crediti deteriorati sono i due nodi su cui da Bruxelles arrivano le pressioni più forti. Da settimane, però, il ministro è impegnato anche a ribadire che la montagna degli Npl è in rapida riduzione, con un taglio di oltre il 25% a fine luglio (grazie a operazioni straordinarie come quella di Unicredit) rispetto al picco di 89 miliardi netti registrato a fine 2015, e che la ripresa economica riduce anche la creazione di nuove sofferenze. L’ultimo rapporto dell’Abi ha spostato sotto al 4% il rapporto fra sofferenze nette e impieghi totali, in un percorso che punta a raggiungere la media europea, intorno al 3 per cento. In Italia c’è un problema, ha ribadito insomma ieri il ministro, ma «è anche chiaro che un processo di riduzione è cominciato e sta andando nella direzione giusta con una velocità crescente».

Ma il carattere molto italiano del tema, accresciuto strutturalmente dai tempi lunghi della giustizia civile e del recupero crediti che ora la legge fallimentare prova a modificare, non aiuta la creazione di un fronte ampio di discussione. Anche perché a Berlino, come a Parigi, i rischi di febbre per le banche sono legati prima di tutto ai derivati e in generale ai «Level 3», titoli illiquidi di cui non si riescono a calcolare in modo uniforme i parametri di valutazione e quindi i possibili impatti in caso di scoppio della bolla. E finché l’attenzione si concentra sugli Npl, misurabili nei dettagli, i Level 3 rimangono nell’ombra. Almeno per i regolatori.


Autore: Gianni Trovati
Fonte:

Il Sole 24 Ore

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