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Fusione e bad bank, le Venete in Bce

Qualche giorno per conoscere il futuro delle due venete, qualche settimana per definire quello di Mps. Si gioca nelle prossime quattro settimane il destino di due dei principali cantieri bancari italiani. Realtà diverse per storie recenti e connotazione geografica, ma accomunate oggi dalle stesse criticità, a partire dall’urgenza di una ricapitalizzazione così come dalla necessità di un rapido smaltimento delle sofferenze accumulate nel tempo.

Le due venete
I tempi per entrambe le realtà sono oramai sempre più stretti. Martedì si riuniranno i Cda della Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca. I board dovranno fare il punto sullo schema del progetto di fusione, con un affinamento delle stime sul fabbisogno di capitale che si potrebbe generare dalla svalutazione e scorporo dei crediti deteriorati. A ruota, già mercoledì a quanto risulta al Sole 24Ore, il management dei due istituti volerà a Francoforte per fare il punto con la Vigilanza. I vertici delle due banche, ha ricordato il governatore di Bankitalia Ignazio Visco nel suo intervento a Modena, «stanno lavorando al piano industriale per l’ulteriore ricapitalizzazione e il rilancio delle due banche, che sarà presentato a breve alle autorità di vigilanza». Concetto ribadito dall’ad di Veneto Banca, Cristiano Carrus, che insieme all’ad di Popolare Vicenza, Fabrizio Viola, sta lavorando al dossier. La road map sembra di fatto tracciata. E non può prescindere da un aumento di capitale che nel complesso per ora si prospetta nell’intorno dei 2,5 miliardi, ma che non è escluso possa essere anche superiore.

Tutto dipenderà infatti da cosa accadrà alla mole di sofferenze che le due banche devono smaltire per riportare l’Npl ratio a livelli ritenuti accettabili dalla Vigilanza. Proprio quello dei crediti deteriorati e delle relative coperture è il tema sul quale stanno ragionando i vertici delle due venete. L’esito delle riflessioni si avrà il 9 febbraio, quando verranno presentati i conti dei due istituti. Ciò che appare inevitabile è un aumento delle svalutazioni che giocoforza peserà sui conti del 2016. Una volta aumentate le rettifiche in linea con le richieste Bce, si guarderà ai passi successivi. L’ipotesi più accreditata prevede lo scorporo dei 9 miliardi di sofferenze lorde delle due ex popolari. Nei piani, la dose massiccia di crediti deteriorati verrebbe riversata in una bad bank, così da far emergere il valore della parte “buona” delle due realtà bancarie. Ma come coprire il deficit di capitale che si genererebbe dalla cessione? Qua si guarda all’intervento dello Stato che non a caso ha già messo in campo la disponibilità di 20 miliardi di euro a livello di sistema con il pacchetto Salva-risparmio di fine dicembre.

«Fondi più che sufficienti – ha detto Visco – per affrontare le necessità di ricapitalizzazione di altre banche italiane» oltre Mps. Il dispiegamento dell’aiuto governativo difficilmente potrebbe prescindere, come da richieste di Bruxelles, dal coinvolgimento dei detentori di bond subordinati, sulla scia di quanto accade nel caso di Mps. Ma accanto allo Stato si prospetta una nuova tornata di esborso di capitale anche per Atlante. A quel punto, il fondo partecipato dal sistema finanziario italiano potrebbe così puntare alla gestione della bad bank e a un recupero graduale di valore dei crediti. Mentre la good bank, una volta ripulita, potrebbe essere messa sul mercato e trovare l’interesse di investitori. Così facendo, Atlante avrebbe il beneficio di una ripresa di valore dell’investimento da 2,5 miliardi effettuato nel capitale delle due banche del Nord Est, capitale che nel frattempo (si veda articolo a lato) ha subìto una svalutazione inevitabile complice l’emergere di nuovi accantonamenti. Nel frattempo le due venete stanno lavorando sul fronte della liquidità. A giorni dovrebbe arrivare la garanzia dello Stato, a valle della quale le due banche annunceranno l’ammontare dei bond che intendono emettere per riportare i ratio sopra i livelli di guardia.

Ilcaso Mps
Entro le prossime settimane anche Mps dovrà trovare la quadra sul fronte dei crediti deteriorati. Nella seconda metà di febbraio potrebbe essere presentato il nuovo piano industriale. I dialoghi tra la banca e la Bce sono continui, così come quelli tra il Mef e la Dg Competition. Perno dell’operazione sarà la cessione dei circa 27 miliardi di euro di Npl. Le ipotesi sul tavolo sono diverse. E vanno dalla cessione in blocco dei crediti, alla cessione per cluster alla cartolarizzazione. In quest’ultimo caso, la partecipazione di Atlante come acquirente della tranche mezzanina è solo una delle soluzioni a cui si guarda, e peraltro allo stato attuale non appare neppure la più probabile. «Noi andiamo avanti comunque sulla nostra operazione che ci sia Atlante o che non ci sia» ha detto ieri il presidente di Mps, Alessandro Falciai. Ecco perchè non è escluso che alla finestra si affaccino grandi investitori specializzati sul fronte degli Npl, con cui risulta peraltro che ci siano stati contatti recenti, da BlackRock a Pimco, a Blackstone solo per citare i più grandi. È evidente tuttavia che un acquisto da parte dei fondi, tradizionalmente abituati a ritorni sull’investimento a doppia cifra, avrebbe impatti sulla valorizzazione dei crediti e, a cascata, sul patrimonio dell’istituto. Da qua, forse, la necessità per la banca di proseguire sul percorso di progressivo aumento degli accantonamenti per ridurre il più possibile l’eventuale minusvalenza. Il tema dell’aumento delle rettifiche sui 27 miliardi lordi (che in teoria dovevano essere già stati deconsolidati) è stato già affrontato nel corso dell’ultimo Cda in settimana, e i risultati si vedranno in occasione della presentazione dei conti fissata per il 9 febbraio. La banca intanto è al lavoro per l’emissione del primo bond con garanzia pubblica: le attese sono per un taglio da 1-2 miliardi, da collocare entro un paio di settimane.


Autore: Luca Davi
Fonte:

Il Sole 24 Ore

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